Solitudine, regina di Sea


 

Il vallone di Sea, nella Val Grande di Lanzo, si può tranquillamente considerare come il più selvaggio delle tre valli di Lanzo, e direi anche uno dei più solitari di tutto l'arco alpino occidentale. E’ di una bellezza particolare, chiuso tra pareti opprimenti e lisce come lavagne nella parte bassa, più aperto nella seconda metà, culminante con il colle di Sea, un tempo facile e frequentatissimo passaggio tra le Valli di Lanzo e la Valle dell’Arc.

Ma non a tutti piace, o almeno, non a tutti suscita le stesse emozioni. Nella loro “Guida della Alpi Occidentali”, Bobba e Vaccarone danno una descrizione alquanto deludente sul vallone, a loro evidentemente non è piaciuto molto…In effetti, il primo impatto non è dei migliori: per almeno due ore la visuale rimane limitata dalle lisce pareti di gneiss che segnano le pareti del vallone, e paiono togliere luce e respiro, ma oltre l’Alpe di Sea, il vallone si allarga sul bellissimo Piano di Sea, adagiato ai piedi di una serie di balze  che sbarrano la valle, al di sopra delle quali si stendono i pascoli del Pian di Giovanot, ai piedi delle Cime Piatou. Oltre cominciano le morene che portano al Ghiacciaio di Sea e al Colle, in un grandioso ambiente di alta montagna, dominato dalla spettacolare e vicina seraccata del Ghiacciaio Tonini e dalla parete nord dell’Uia di Ciamarella. 

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Pulizia sul Colle Sud-ovest di Bonneval, a 3154 m, futuro punto di collegamento tra Italia e Francia. (17 settembre 2000)

Il vallone di Sea è lungo, interminabile: sono circa 12 km da Forno Alpi Graie al Colle di Sea, e quasi 2000 m di dislivello. Ma sono convinto che per chi cerca la wilderness, di cui tanto si parla, questo è il posto giusto. Capita spesso di essere le uniche persone in tutto il vallone, di non incontrare anima viva in tutto il percorso, a parte marmotte, aquile, stambecchi, camosci…Non vi sono neanche bovini al pascolo, né ovini, niente, nessuna presenza di marghè. L’alluvione del 23-24 settembre 1993 devastò tutta la Val Grande, le mandrie vennero bloccate negli alpeggi, subendo notevoli perdite, e anche i sentieri di accesso alle valli laterali subirono moltissimi danni. E’ così che le belle strutture del Gias Balma Massiet, dell’Alpi di Sea e del Gias Nuovo sono rimaste abbandonate al loro destino, e alla solitudine totale del vallone.  

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La fine e l'inizio del giorno nel Vallone di Sea: 

tramonto verso l'Uia di Mondrone (18 settembre 1998) e sorgere del sole dall'Uia di Mombran (17 settembre 2000) 

Sea piace o non piace: non credo ci sia un compromesso; può però capitare, come è successo a me, che ci si debba andare tre - quattro volte prima di capire che cosa significa davvero il vallone di Sea. Nel settembre del 1999, di ritorno dal Colle, dopo un fallito tentativo alla Punta Tonini, mi ero ripromesso che mai più sarei tornato in quella valle..Mi vien da sorridere a rileggere al relazione di quella gita. E invece ci sono tornato, solo, dopo soli 6 mesi, verso la fine di giugno del 2000, e da allora se non ci vado almeno un paio di volte l’anno non sono tranquillo. E’ qui che respiro la vera natura della montagna, qui il tempo sembra essersi fermato, tutto appare come immobilizzato da una mano nascosta, essere soli qui significa davvero essere soli, la solitudine è la vera, unica e incontrastata Regina di Sea.

  Da Forno Alpi Graie 1219 m al Gias Balma Massiet 1500 m: la dimensione verticale

  Giunti a Forno Alpi Graie, l’ultimo centro abitato della Val Grande di Lanzo, a 1219 m, il solco vallivo principale si biforca in due rami: uno è il Vallone del Gura, che culmina con le grandiose pareti del gruppo Mulinet-Martellot, e con l’imponente Levanna Orientale, che coi suoi 3555 m domina l’abitato di Forno; a sinistra, invece, si dirama il vallone di Sea, che prosegue perpendicolarmente al solco principale fino nei pressi dell’Alpe di Sea, dove piega decisamente a destra, formando un angolo di quasi 90°, dirigendosi verso il confine francese. Dalle case di Forno si imbocca la stradina che porta al Santuario della Madonna di Loreto, al quale si giunge con una scalinata di ben 444 gradini. Prima della passerella per il santuario si stacca a destra una ripida pista: è la stradina realizzata per la costruzione dell’Acquedotto generale delle Valli di Lanzo. Si arriva nei pressi di una costruzione vicino al torrente, dove un tempo si ritrovava il sentiero. Ora lo sbancamento prosegue ancora per mezz’ora, e si ha il tempo di osservare sia su un lato, sia sull’altro, i danni dell’alluvione di ottobre; nel letto del torrente rimangono i vecchi tubi dell’aquedotto, contorti e arrugginiti, tutti i canaloni circostanti sono profondamente scavati. Finalmente ricomincia poi il sentiero, che con alcuni tratti nel bosco si porta poi con qualche tornante a passare alto sulla Stura di Sea, sfruttando una specie di cengia al di sotto di una balma rocciosa. L’ambiente circostante cambia: il bosco lascia spazio a magri pascoli, sovrastate da alte e lisce pareti di gneiss, dove la dimensione principale è quella verticale. Queste pareti , così ripide e opprimenti, videro la nascita di quel movimento alpinistico che prese il nome di “Nuovo mattino”, nei primissimi anni 70. Su queste pareti si cimentarono grandi nomi dell’alpinismo di quegli anni: Giampiero Motti, Giancarlo Grassi, Ugo Manera..Ma fu breve il periodo d’oro del vallone di Sea, che fu presto lasciato a sé stesso: nella vicina valle Orco erano state scoperte le pareti del Caporal e del Sergent, che ricordavano le big wall americane dello Yosemite. I nomi dei settori delle pareti di Sea fanno capire che questo posto qualche cosa di magico ce l’ha: “Specchio di Iside”, “Gandalf” evocano già un non so che di mistico, e osservando queste enormi linee verticali di liscio gneiss non si può che rimanerne affascinati: non bisogna fermarsi alla loro base, no, così le si troveranno opprimenti; bisogna spingere lo sguardo verso l’alto, seguire con gli occhi le fessure, i diedri, le placche, seguire la dimensione verticale, che porta verso il cielo azzurro, osservare ogni cengia, ogni spaccatura: non sarà difficile scorgere camosci aggrappati alla roccia, come sospesi nell’aria.  

Il sentiero prosegue sulla sinistra idrografica del torrente, poi scende leggermente fin quasi sulla riva, erosa dalle piene, e si porta nei pressi del Gias Balma Massiet: il letto della Stura di Sea, già abbastanza largo dopo il settembre 1993, è, dopo l’ottobre 2000, diventato enorme, un grande caos di pietre, ghiaia e sabbia, che si attraversa seguendo qualche ometto che indica la via per la passerella (che resterà fino alla prossima alluvione) che permette di guadagnare la sponda opposta nelle immediate vicinanze del Gias Balma Massiet, a 1500 m (1 h 00 da Forno). Le costruzioni in pietra sono ancora ottimamente conservate, ma l’erosione delle sponde del torrente è ormai a meno di quindici metri dalle baite. Questo Gias si trova un piccolo fazzoletto di pascoli ai piedi del ripido versante settentrionale delle estreme propaggini della Leitosa. Le costruzioni meglio conservate sono il lungo corpo della stalla, che offre un soppalco in legno ancora pieno di fieno (per un bivacco d’emergenza), e la baita dei marghè, con caminetto e tutto, il cui tetto è costituito da una bellissima volta a secco in pietrame: architetture di questa tipologia si trovano anche nella Valsavarenche (Alpe Pravieux). Arrivando al Balma Massiet dal vallone di Sea, nell’aria e nell’ombra della sera, anche queste poche pietre si caricano di un’atmosfera magica, e osservando i lontani pendii meridionali del Barrouard e del Corno Bianco, ancora illuminati dal sole, nel silenzio quasi totale, vien davvero voglia di fermarsi ad ascoltare la voce di Sea.

  Dal Gias Balma Massiet 1500 m all’Alpe di Sea 1785 m: canyon e pareti nord

  Quando si lasciano i casolari del Gias Balma Massiet il sentiero si alza presto sul torrente, che scorre in basso, in una specie di profonda gola, sovrastata da una parete rocciosa a placconi. Si attraversano alcuni canaloni profondamente scavati dalle ultime alluvioni, uno dei quali particolarmente interessante: volgendo infatti lo sguardo verso la nostra sinistra si può benissimo scorgere una grossa frana staccatasi da una di quelle belle pareti verticali. Il colore della roccia, molto chiaro, permette di osservare come si sia staccata una grossa fetta di parete, direi sul migliaio di  metri cubi,  che cadendo si è frantumata in blocchi dalle dimensioni enormi, che rotolando sul pendio e facendo strage della vegetazione, sono piombati sul sentiero e fin nel letto del torrente, almeno un centinaio di metri più in basso del punto di distacco. Questa frana (paragonabile, come tipologia, a quelle molto famose dei Drus e della Brenva, nel gruppo del Bianco) risale all’inverno 1999/2000; in occasione poi dell’alluvione di ottobre, il fronte del dissesto di questa zona del vallone si è ulteriormente allargato. Superato quest’ostacolo, si riprende a salire tra cespugli di drose e arbusti di lamponi, avvicinandosi alle impervie e scure pareti nord dell’Uia di Mondrone, della Punta Rossa di Sea e dell’Albaron di Sea: quest’ultima è la più alta delle Valli di Lanzo, con i quasi 1000 m di dislivello dai pascoli sottostanti. Ben presto anche la poca e bassa vegetazione finisce, e lascia il posto a magri pascoli, che caratterizzano questa parte del vallone, nel punto in cui comincia la netta curva verso ovest. 

 

L'Alpe di Sea 1785 m. Le nubi di un pomeriggio estivo avvolgono la parete Nord dell'Albaron di Sea. (24 giugno 1999)

Si giunge così in vista dell’Alpe di Sea, posta proprio al riparo di una grossa balza rocciosa, alla sinistra della quale scorre in una specie di gola il torrente. Sulla nostra sinistra si stendono pendi erbosi poco inclinati, disseminati di massi e solcati da profondi canali, colatoi, coni di deiezione, che lasciano poi spazio a ripidi ghiaioni, proprio alla base delle gìà citate pareti. Poco prima di attraversare il torrente si stacca a sinistra il sentiero per il Passo dell’Ometto e per il Ghicet di Sea, che si raggiunge con un’ardita cengia ascendente che, partendo dai ghiaioni, taglia tutta la parete nord della Punta Rossa di Sea, uscendo su un piccolo canale alla base del passo. Un ponticello stretto e alto sulla piccola gola dove scorre il Sea permette di toccare le baite dell’Alpe di Sea 1785 m, con il caratteristico fabbricato lungo e basso, posto proprio al di sotto del roccione che protegge l’Alpe.

  Dall’Alpe di Sea 1785 m al Gias Nuovo 1888 m: la poesia del Piano di Sea

  Da qui in poi la morfologia del vallone cambia del tutto: le strette pareti si allontanano, i panorami si fanno più ampi, la visuale si allarga. Il sentiero passa tra le baite, vicino ad una sorgente, e poi si sale aggirando la balza rocciosa che protegge l’Alpe, tra drose e arbusti di lamponi, e dopo un piccolo ripiano, ecco che aggirato un piccolo dosso, che davanti ai nostri occhi si apre lo splendido Piano di Sea, di una bellezza romanticamente caratteristica, insolita. Lo si definisce il “fratello povero” del Pian della Mussa, che tra l’altro si stende più o meno alla stessa quota nell’attigua valle di Ala, ma la differenza è notevole. Qui c’è il silenzio, un grande silenzio. Il sentierino si porta a mezzacosta su una specie di dorsale, e la vista si allunga verso il fondo di questo altopiano. Non può non piacere, il Piano di Sea: chiuso al fondo da una serie di balze rocciose, formanti una strettissima gola dove si dibatte furioso lo Stura di Sea, sovrastato a sinistra dal settore più orientale dell’enorme parete nord dell’Albaron, e voltandosi indietro ecco apparire la slanciata piramide dell’Uia di Mondrone. Il piano è caratterizzato da magri pascoli, il torrente principale e alcuni piccoli rii, da enormi massi erratici...  

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Il piano di Sea si apre davanti a noi, sullo sfondo nubi di calore avvolgono le Cime di Piatou. (24 giugno 1999)

Le caratteristiche costruzioni del Gias Nuovo, al termine del Piano di Sea. (19 settembre 1998)

Giochi di nubi in un giorno di Foehn, dai pressi del Gias Nuovo. (08 settembre 2001)

Mi è capitato, tornando dal Bivacco Soardi-Fassero nel pomeriggio di un giorno di settembre, di fermarmi ad osservare la poetica bellezza di questo posto. Era un giorno di forte vento, un vento che scendeva da nord-ovest, e scuoteva tutta la valle, e mi sono seduto, tra l’erba alta, che cambiava ormai già il suo colore, mentre si piegava alle folate gelide, di fronte all’ardita sagoma dell’Uia di Mondrone. Uno spettacolo da lasciare senza parole, non si sentiva altro che il rumore del vento e del torrente in tutto il vallone, e, ovviamente, nessuno in giro. Solo erba, vento e l’azzurro del cielo, e null’altro. Non si può che rimanere affascinati da queste sensazioni, da ciò che suscita quest’ambiente. Il sentierino percorre quindi il fondo del piano, portandosi all’altezza del Gias Nuovo 1888 m: anche questo è un tipico gruppo di baite, come si trovano solo in Sea: ancora ben conservate, con la caratteristica volta in pietrame a secco, invitano ad una sosta, e, perché no, anche ad un bivacco: l’atmosfera del luogo da la sensazione di essere tornati indietro di cent’anni, quando non c’erano ancora né il Bivacco Soardi, né il vecchio Rifugio Guido Rey, e la montagna era ancora la protagonista della “Lotta all’Alpe” che lo stesso Rey osannava.

  Dal Gias Nuovo 1888 m al Bivacco Soardi-Fassero 2297 m: il Pian di Giovanot

  All’altezza del Gias Nuovo il sentiero si perde nell’enorme piana alluvionale frutto delle recenti alluvioni: tonnellate di materiale litoide trasportato dalle furiose acque del Sea, una volta uscite dalla gola del “Passo di Napoleone”, si sono sparse sul piano di Sea, allargando l’alveo a dismisura, ricoprendo i già magri pascoli di sabbia, ghiaia e pietre di ogni dimensione. Alcuni ometti permettono di trovare la via migliore, che segue all’incirca il vecchio tracciato del sentiero, che riprende poi molto ben segnato a salire ripidamente con una serie di tornanti, lasciando a destra una bella parete rocciosa a placconi di gneiss, e portandosi proprio sul bordo della strettissima e profonda forra nella quale scorre il Sea, chiamata “Passo di Napoleone”. Si arriva così ad un ardito passaggio, una cengia artificiale formata da alcune robuste putrelle di ferro con al di sopra delle grosse lose, che permette di superare un canale a picco sulla forra. Successivamente si percorre una scalinata vera e propria in una specie di trincea, chiusa ai lati da due pareti rocciose e scure: è un altro passaggio abbastanza caratteristico. 

Oltre il Passo di Napoleone si apre la vista sul Piano di Sea, dominato dalla svettante Uia di Monrdone. (08 settembre 2001)

Si esce quindi su terreno aperto, una specie di pulpito sul piano di Sea, al fondo del quale si erge l’Uia di Mondrone, che appare ancora più ardita e slanciata. Spesso da qui comincia a soffiare forte il vento, che scende furioso dal colle di Sea, e alle volte rende difficoltoso il cammino. Nel settembre del 2001 ho percorso questo tratto del vallone con un vento fortissimo, che creava forti problemi di equilibrio e toglieva il respiro. Ma era il prezzo da pagare per l’immenso spettacolo delle nubi lenticolare modellate dal vento che in quota, intorno ai 3000 m, toccava i 100 km/h: è stato lo spettacolo di nubi più bello che ho mai visto, nubi d’un colore bianco che più bianco non si può, alcune sfumate nel cielo azzurrissimo, altre dai contorni perfettamente lineari, e tutte in continua metamorfosi: semplicemente meraviglioso.  

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Spettacolari formazioni di nubi lenticolari in un giorno di Foehn, dal Gias Piatou. (08 settembre 2001)

Il sentierino sale un pendio di pascoli, poi traversa a mezzacosta,  e quindi per questa specie di dorsale, evidente resto di un’antica morena, di quando il Ghiacciaio di Sea scendeva lungo il vallone. Si attraversa un piccolo ma pittoresco pianoro caratterizzato da grossi ciuffi di erba. Sulla destra si stacca il bivio per il Passo delle Lose 2866 m, un ardito punto di passaggio sulla costiera Sea-Monfret, sulla sinistra della rocciosa Uia di Mombran 2955 m, anche questo non molto frequentato. A poca distanza dal bivio si trovano i resti del Gias Piatou 2193 m, abbandonati da molto tempo, ma alcuni ancora in buono stato, sempre con le loro splendide volte a secco: nei suoi pressi si può ancora ben osservare il basamento del vecchio Rifugio Guido Rey, sorto nei primi del 900 e che negli anni ’30 offriva persino un servizio di alberghetto, abbandonato prima della posa del bivacco Soardi. E’ in una posizione panoramicissima, su una specie di balconata sospesa sul Gias Nuovo,al piano di Sea, che sovrasta per quasi 300 m di dislivello.  

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Sbuffi di neve sulle Cime di Piatou dal Gias omonimo. (08 settembre 2001)

Luci e ombre verso la Cima Leitosa. (24 giugno 1999)

Nubi di sabbia sollevate dal vento sulle morene del ghiacciaio di Sea. (09 settembre 2001)

Si continua a salire per questa antica crestina morenica, trascurando alcune tracce a sinistra che portano sul fondo del vallone: se si osserva bene è visibile il bivacco, nonostante sia scuro, adesso si nota chiaramente alla base di un sperone roccioso che scende dalle Rocce Monfret. Sulla destra, verso il pian dei Giovanot, si ergono le frastagliate Cime di Piatou e il biancheggiante canale ghiacciato del Passo delle Disgrazie, dal nome abbastanza eloquente. Ancora un poco e qualche tornante e si arriva alla costruzione in legno e lamiera del bivacco Soardi-Fassero, a 2297 m (3,30 – 4 h da Forno). 

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Il nuovo bivacco in legno e lamiera dedicato a Nino Soardi e Marco Fassero, a 2297 m nel vallone di Sea. (18 settembre 1998)

Ultimo sole sulla Cima Leitosa e sulla vetta dell'Uia di Mondrone. (08 settembre 2001)

Tramonto con nubi lenticolari verso l'Uia di Mondrone, alle ore 20:00. (08 settembre 2001)

Lo stesso tramonto, verso le 20:30. (08 settembre 2001)

La prima costruzione del bivacco risale al 1957 per opera della sezione UGET del CAI di Torino, nel 1993 è stato posto il nuovo e più ampio bivacco. La vista dal bivacco è molto suggestiva, spaziando dai poco inclinati pendii del Pian di Giovanot, alla slanciata Uia di Mondrone, e alla spettacolare parete nord dell’Albaron di Sea: quest’ultima al sorgere del sole si tinge di rosa come una parete dolomitica, assicurando uno spettacolo cromatico meraviglioso. La valle si chiude contro il canale detritico che porta al ghiacciaio di Sea, oltre il quale si scorge la piramide della Punta Tonini. Ad una cinquantina di metri dal bivacco una traccia porta ad una sorgente d’acqua freschissima.

  Dal Bivacco Soardi-Fassero 2297 m al Ghiacciaio di Sea 2780 m: antiche morene

  Bisogna ora scendere per qualche metro, per ritrovare il sentiero che percorre a mezzacosta il pendio, con qualche tratto roccioso, fino a portarsi sui grandi pendii morenici che scendono dal Passo delle Disgrazie.negli anni settanta, particolarmente nevosi, erano ben pochi i metri che si percorrevano dal bivacco al colle senza trovare la neve. Negli ultimi anni invece la lingua terminale del ghiacciaio si è ritirata in alto, e anche i nevai in genere non ci sono più già a luglio. Si passa vicino ad un grosso masso erratico, che può essere un buon punto di riferimento, mentre ci si avvicina al canale nevoso-detritico, dove spesso rimane comunque un bel nevaio. 

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Spettacolare alba sulla parete nord dell'Albaron di Sea. (17 settembre 2000)

La fronte del Ghiacciaio di Sea, a 2780 m di quota. (17 settembre 2000)

La vista, volgendosi indietro, regala ampi spazi e panorami, con la foschia che spesso sale dal vallone, e che disegna approssimativamente quello che doveva essere un tempo il percorso del ghiacciaio, all’epoca dell’ultima glaciazione.Attraversato una fascia di rocce si trovano nuovamente detriti, clapeys, terriccio, massi di ogni dimensione e forma, tra si mantiene la traccia a fatica. Si arriva così alla base dell’ultima rampa, un canale detritico spesso e volentieri occupato (per fortuna!) da un grosso nevaio, chiuso sia a destra che a sinistra da alte pareti rocciose: negli anni 80 la lingua terminale del ghiacciaio scendeva ancora per il canale. Uscendo dal canale ci si trova immediatamente davanti al fronte glaciale: da una caverna di ghiaccio nasce il Sea, la lingua del ghiacciaio si trova a circa 2780 m di quota (1 h o poco più dal bivacco): è uno dei più bassi delle valli di Lanzo come quota della fronte terminale, ed uno dei più estesi. 

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Nubi di calore e controluce verso l'Uia di Mondrone. (10 settembre 1999)

L'ambiente glaciale del Vallone di Sea: sullo sfondo la Punta Tonini e il Colle di Sea. (10 settembre 1999)

Nube isolata sul Vallone di Sea, in controluce. (17 settembre 2000)

La stessa nuvola, un attimo prima di scomparire. (17 settembre 2000)

Qui comincia un ambiente glaciale di rara bellezza, senza alcuna presenza umana. Qui non è il Gran Paradiso o la Punta Gnifetti, con le loro piste e il loro affollamento. Qui di piste sul ghiacciaio non ce ne sono, folla non ne troverete, non troverete la coda per salire ad una vetta, non qui. Ed è proprio questo il bello, qui trovate la montagna vera, fatta per essere montagna e non addomesticata dall’uomo, questa è montagna selvaggia.

  Dal Ghiacciaio di Sea 2780 m al Colle di Sea 3100 m: regno glaciale

  Questa parte poco inclinata del ghiacciaio, chiamata Pian Ghias, è facilmente percorribile (magari meglio avere i ramponi): praticamente nessun crepaccio (in verità, negli ultimi anni, qualche spaccatura si sta aprendo), la superficie glaciale è solcata in estate da numerosi rusceletti di fusione. L’ambiente circostante si fa ben presto severo e solenne: a sinistra ecco la grandiosa seraccata del Ghiacciaio Tonini, proprio al di sotto dell’elegante parete nord dell’Uia di Ciamarella. Questa sembra sorgere direttamente da quest’enorme massa biancheggiante di seracchi, caoticamente ammassati in uno spettacolare quadro d’alta montagna.

I seracchi del Ghiacciaio Tonini, scendendo dal Colledi Sea. (19 settembre 1998)

La parete nord della Ciamarella ha ancora il suo fascino, è indubbio, ma nulla in confronto a ciò che si poteva ancora osservare negli anni settanta: un enorme lenzuolo bianco, da quale sporgevano due panciuti ghiacciai pensili, un muro di ghiaccio che vide la salita dei pionieri della Piolet traction. Ora la nord della Ciamarella si sta scoprendo sempre di più, i due ghiacciai pensili sono praticamente spariti, gli affioramenti rocciosi aumentano, e la via che aprì Eugenio Ferreri tende a diventare una via di misto. Avanzando il silenzio è rotto solo da qualche scarica di sassi, dalle morene che franano di continuo, segno che la montagna, intorno a noi, è viva, respira. E tocca a noi, che siamo ospiti, adattarci e osservare bene ciò che accade intorno a noi. Staremo allora attenti al pendio roccioso sulla nostra sinistra, estrema propaggine della Punta Tonini, che volentieri lascia cadere qualche pietruzza sui nevai sottostanti. Potremmo anche percorrere le noios e faticosissime morene della destra idrografica, ma è decisamente sconsigliabile, per la quasi totale mancanza di tracce. E’ più remunerativo e interessante mantenersi il più possibile sui nevai, appoggiando alla nostra sinistra, sempre dirigendosi verso l’ampio e ben visibile colle di Sea, facilmente individuabile già dall’inizio del ghiacciaio, e ancor di più da una specie di conca a 2900 m. Oltre questa spesso i nevai lasciano spazio a faticosi e mobili sfasciumi, tra i quali appare e scompare un’accenno di traccia, come un miraggio. Il colle si avvicina, sulla destra si fa imponente la rocciosa Punta di Sea, a sinistra l’ombra della Tonini incombe su di noi. Con l’ultimo faticoso tratto su cedevoli clapeys si esce finalmente al Colle di Sea, a 3100 m di altitudine, aperto tra la Punta Tonini 3324 m e la Punta di Sea 3217 m. Siamo al capolinea. Ora è Francia, ora è la Valle dell’Arc. Il panorama  è silenziosamente immenso:a sinistra le bianche pareti nord della Piccola Ciamarella e della Punta Chalanson, oltre lo spallone del Monte Collerin. Sopra il tormentato ma spettacolare Glacier des Evettes si eleva imponente e fiero l’Albaron di Savoia 3627 m, dalle forme indiscutibilmente eleganti. A destra si allunga il solitario vallone des Evettes, che porta a Bonneval Sur Arc, un tempo centro valligiano con buoni e frequenti rapporti con le valli di Lanzo, valli e creste arrivano fin dove si spinge lo sguardo.  

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La vista spazia sul versante francese, nel silenzio totale. (17 settembre 2001)

Ed ecco il vallone di Sea, avvolto da una leggera foschia. (17 settembre 2001)

E ora? Il vento di Francia ci passerà attraverso, l’aria frizzante ci rinforzerà dopo la faticosa salita. Voltatevi, ora, volgete lo sguardo verso il Vallone di Sea, che avete percorso, che avete osservato da ogni prospettiva. Adesso guardatelo dall’alto, quando la foschia disegna poetiche forme, tra i pascoli lontani, il vicino ghiacciaio, le rocce, i ghiaioni, il silenzio regna sovrano, e sentite una sola voce. E ora non avrete più dubbi, vi chiederete se dovete proprio tornare indietro, se proprio non potete rimanere lì, ad ascoltare quella voce, una voce che non dimenticherete: la voce dell’unica regina di Sea, Solitudine.

  Roberto Maruzzo

 


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